Ho terminato proprio ieri di leggere “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano.
Non è mia intenzione fare una recensione al libro ma riflettere sullo spunto che guida l’intera opera: l’impossibilità per alcune persone di superare la propria imbarazzante solitudine costruita nel tempo della propria vita. L’impressione che si trasforma in percezione porta i protagonisti a rifugiarsi nelle uniche cose della loro travagliata esistenza che si presentano come certezze: la matematica e la fotografia.
Due persone, ma appunto due numeri primi gemelli: vicini, divisibili solo per se stessi o per 1, incapaci di entrare in contatto con i problemi dell’altro, scelgono ostinatamente la strada della solitudine, nel loro percepire e muoversi nel mondo. Si, perché Alice e Mattia costruiscono un legame capace di gestire le loro diversissime frustrazioni, senza accettarle, ma semplicemente ignorandole: crescono insieme ma divisi dai rispettivi fantasmi con cui non riescono proprio a fare pace.
Solo insieme potrebbero cambiare la propria vita riconciliandosi con il mondo: provano a conoscersi, lasciano che sia sempre l’altro a leggere o indovinare i rispettivi pensieri o emozioni, ma così finiscono per essere incapaci di scoprire da soli i propri sentimenti rivolgendo verso se stessi quello stesso muro che avevano creato verso il mondo.
Alla fine ci costringono alla domanda: “avrei fatto anche io quella scelta?” Ed è qui che avviene la magia; la risposta non conta più, perché abbiamo conosciuto l’intima complessità di due “primi gemelli” in cui le domande oscurano ogni risposta e inducono a sentirsi un po’ più soli con i propri problemi.
Non è mia intenzione fare una recensione al libro ma riflettere sullo spunto che guida l’intera opera: l’impossibilità per alcune persone di superare la propria imbarazzante solitudine costruita nel tempo della propria vita. L’impressione che si trasforma in percezione porta i protagonisti a rifugiarsi nelle uniche cose della loro travagliata esistenza che si presentano come certezze: la matematica e la fotografia.
Due persone, ma appunto due numeri primi gemelli: vicini, divisibili solo per se stessi o per 1, incapaci di entrare in contatto con i problemi dell’altro, scelgono ostinatamente la strada della solitudine, nel loro percepire e muoversi nel mondo. Si, perché Alice e Mattia costruiscono un legame capace di gestire le loro diversissime frustrazioni, senza accettarle, ma semplicemente ignorandole: crescono insieme ma divisi dai rispettivi fantasmi con cui non riescono proprio a fare pace.
Solo insieme potrebbero cambiare la propria vita riconciliandosi con il mondo: provano a conoscersi, lasciano che sia sempre l’altro a leggere o indovinare i rispettivi pensieri o emozioni, ma così finiscono per essere incapaci di scoprire da soli i propri sentimenti rivolgendo verso se stessi quello stesso muro che avevano creato verso il mondo.
Alla fine ci costringono alla domanda: “avrei fatto anche io quella scelta?” Ed è qui che avviene la magia; la risposta non conta più, perché abbiamo conosciuto l’intima complessità di due “primi gemelli” in cui le domande oscurano ogni risposta e inducono a sentirsi un po’ più soli con i propri problemi.