Non so cosa ne pensiate, ma è evidente; ci siano parole e
pensieri che hanno perso ogni significato. Dove non arriva l’abuso ci pensa
l’usura, in un vortice che si dimostra capace di risucchiare le convinzioni più
radicate come quelle appena accennate.
È un meccanismo perverso dove smentire viene prima di
capire, e dove opinione è sinonimo di faziosità. Sinceramente ho sempre pensato
che la libertà di espressione fosse un cardine del nostro vivere, soprattutto
perché, al di là della inviolabile affermazione di un principio democratico, le
riflessioni e le osservazioni sono in grado arricchire il pensiero comune, di
allargare gli orizzonti, costringendoci a pensare sul valore di ogni convinzione.
Solo ora capisco che questa idea ha finito per diventare una
prigione: riempire parole con un surreale convincimento momentaneamente
rilevante, ci costringe ogni volta ad inseguire una spiegazione che finisce
spesso con lo smaterializzarsi. L’unica reazione plausibile è un atteggiamento
apertamente critico, fortemente interessato, nella testarda convinzione che il
nostro regredire, prima o poi, si fermi continuando a parlare, a riflettere, per giungere
ad una soddisfacente comprensione, nel rispetto della diversità.
Invece il comma 29
dell’articolo 1 del decreto contro le intercettazioni recita: “Per i siti
informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via
telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto
ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa
metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si
riferiscono”. Insomma, non importa cosa scrivi o pensi, ma è
fondamentale che se te lo chiedo, tu scriva anche il contrario.
L’abiura delle epoche passate credevo avesse dimostrato che
riempirsi la bocca di parole vuote non sconfigge la Storia. Che il prossimo
passo sia la scomunica?