Di questi tempi lettere di ogni sorta sembrano materializzarsi all’improvviso come fossero una mania le cui cause restano un interrogativo interessante.
È pur vero che i Romani già ci avevano avvertiti - “Verba volant, scripta manent” - ma secondo me siamo di fronte ad una moda dal sapore antico che ci riporta indietro nel tempo, a quando ambasciatori a cavallo rincorrevano le notizie di questo o quel ducato, cercando di legittimare la parola della propria Signoria. Un mondo intrigante, dove la parola data aveva un valore relativo oserei dire aleatorio, e la carta sembrava rincuorare e garantire quasi fosse un giudice equanime.
Certezze e legittimità. Che sia la strenua ricerca di queste prospettive che ci ha riavvicinati a carta e penna? E' una teoria abbastanza curiosa, ma considerati i tempi che stiamo affrontando, sistemare parole come fossero i mattoni di un muro può aiutare a definire le strade che vogliamo percorrere.
Forse è paradossale, ma cerchiamo ostinatamente dei vincoli che sappiano ordinare la nostra esistenza: una lettera resta pur sempre un insieme di parole pronunciate con le quali siamo chiamati costantemente a confrontarci; atti che solitamente vincolano le nostre intenzioni, le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri sentimenti, da cui non si può sfuggire se non per sentirsi più incompresi. Così finisce che ci consegniamo al convincimento che le parole scritte abbiano maggiore valore.
Ecco, ci sono: scriviamo lettere per apparire più onesti, quando essere semplicemente onesti diventa pericolosamente inutile.