martedì 26 luglio 2011

P(riorità)D(iversità)

L’apprezzabile tentativo di tamponare i malumori intorno alla vicenda Penati e Tedesco che scuote le fondamenta del PD, temo finirà con l’allontanare dal partito quella “riscossa civica” che Bersani vorrebbe tanto accompagnare e cavalcare.

Bel gesto rinunciare alle proprie cariche o impegni istituzionali, stando attenti a salvaguardare la propria vantaggiosa posizione parlamentare, mantenendo in sospeso decisioni definitive, quali le dimissioni da deputato o senatore, in attesa di capire non si sa bene cosa. Dico questo perché quel codice deontologico “restrittivo” del PD, vituperato strumento di diversità, oggi impedirebbe ai vari Tedesco e Penati di presentare serenamente le proprie candidature per il parlamento, come a molti dei massimi esponenti del partito, anche solo per la questione dei raggiunti “limiti di età parlamentare”.

È questo usare continuamente “due pesi e due misure” che allontana dal PD i suoi potenziali elettori e riduce i valori del partito a semplici utopie buone solo per alimentare rimpianti. Visti i personaggi che affollano il nostro parlamento e la viscosità di un sistema incapace di rinunciare a privilegi e concessioni, meriteremmo di vedere in coloro che rivendicano una diversità civica maggiore fermezza ed intransigenza.

Inutile consumarsi cercando di comprendere se le accuse ai suoi esponenti siano vere o false, di questo si occuperà la magistratura. Un partito forte pronto a difendere i propri valori e principi fondativi rivendicherebbe le proprie prerogative ed accompagnerebbe questi signori alla porta senza paura di sbagliare, consapevole che compromettere la credibilità del progetto democratico spianerebbe la strada a speculazioni, dietrologie e disillusione alimentando il disprezzo di una "casta" che non si vorrebbe vedere prosperare.

È ora di riorganizzare le priorità: prima si salvaguardino gli ideali, poi eventualmente i parlamentari...per i quali ultimamente c'è fin troppo tempo.

mercoledì 20 luglio 2011

I fatti del silenzio

E' curioso ma di quei giorni nessuno ricorda il fastidio tedesco per l’irresponsabile posizione americana su Kyoto o le preoccupazioni per l’incontrollabile aumento del narcotraffico internazionale, le riflessioni italiane intorno alla sicurezza alimentare o la determinazione canadese nell’affrontare il tema dell’istruzione. Sembra impossibile ma era il 2001; un anno passato alla storia per le guerre del terrore, quel luglio vedeva i grandi della Terra crogiolarsi al sole di Genova con il mirabile quanto paradossale scopo di aiutare il mondo a stare meglio.

Dieci anni dopo non siamo a celebrare quei momenti, o a ricordare come una società civile indignata cercasse di sottolineare i paradossi attraverso cui si reggeva quella pantomima che gli organizzatori del Genova Social Forum volevano smascherare. Piuttosto tornano alla mente questori, prefetti, ministri e poi facinorosi, celerini, manifestanti, vittime, medici e parlamentari, in un potpourri di odori maleodoranti di idee, pensieri e riflessioni intorno all’organizzazione e gestione logistica di un evento che finiva per mostrare il bigottismo di molte istituzioni italiane incapaci ed impreparate ad affrontare o capire quei momenti.

Inutile nascondersi, i protagonisti furono gli scontri, i manifestanti, le forze dell’ordine, Carlo Giuliani, i BlackBloc, la scuola Diaz che insieme hanno vissuto più di 250 procedimenti, svariate inchieste, importanti condanne ed illustri condannati, ma nessun concreto responsabile.

Allora quei momenti che cercavano di riflettere la straordinaria virilità delle potenze economiche, appaiono oggi più come le riunioni di uno sciccosissimo condominio di decadenti aristocratici che difendono strenuamente i loro privilegi. Fatti che si vogliono dimenticare per sprofondandoli in un silenzio che non può che fare a botte con le nostre coscienze.

Aveva ragione Enzo Biagi: “il passato, alla luce di questi fatti, è una lezione inascoltata. Come è la storia.”

martedì 12 luglio 2011

Adagio leghista

Il 2 luglio 1985 Umberto Bossi dichiarava rispetto alla sua candidatura al Parlamento Romano: "Niente parolai che dopo, al momento opportuno, si tirano indietro; qui per fare marciare le cose ci vogliono ragazzi con gambe forti come a Varese".

Il 23 luglio 2011 a Monza apriranno le sedi di alcuni ministeri su iniziativa della Lega Nord. Ora è difficile sapere se si tratterà di targhe commemorative, divisioni distaccate, sedi operative o di rappresentanza, ma questa è l’iniziativa più concreta che la Lega è riuscita ad ottenere in quasi 9 anni di governo e più di 20 anni di presenza parlamentare.

La frenesia leghista ha prodotto un federalismo fiscale senza decreti attuativi, l’ennesimo pezzo di carta inatteso (ammesso che possa essere realmente la soluzione ad ogni nostro problema), una prevedibile disfatta rispetto al tema dell’immigrazione clandestina considerato il recente superamento della legge Bossi-Fini e l’ormai costante aumento di sbarchi a Lampedusa, senza dimenticare i surreali spot secessionisti per una insensata difesa delle identità di un territorio inventato (vedi scuola di Adro).

Di certo la Lega resta un partito legato al territorio, ma è tutto da dimostrare che questo si riconosca ancora in quelle rivendicazioni. Le elezioni non hanno segnato il consueto principio dei vasi comunicanti tra pdl e lega, tanto che ora i leghisti si trovano sempre più isolati ed alle prese con la consapevolezza che caduto questo governo difficilmente si potrà portare avanti il disegno federalista-secessionista.

Si dice che nella base molti chiedono una scossa che il vertice sa di non poter dare: si resiste al bisogno di staccare la spina al governo, meglio attendere il momento in cui non passerà più la corrente…“Il maggior coraggio a volte è la cautela” disse il parolaio varesino Umberto Bossi il 19 marzo 2011.

martedì 5 luglio 2011

Il giardino del Re

Non sono un appassionato di giardinaggio, ma c’è un evento, giunto quest’anno alla 125^ edizione, che mi entusiasma, e mi costringe a seguire le vicissitudini di un prato verde che in 15 giorni perde consistenza e lucentezza ma non il suo irresistibile fascino. Parlo di Wimbledon, il torneo tra i tornei del tennis antico e moderno che deve le sue fortune alla straordinaria magia che sanno regalare quei campi cosi difficili da leggere ed interpretare, che nascondono insidie tali per cui solo pochi possono vantarsi di aver compreso magistralmente.

Anche quest’anno quell’erba ha i suoi campioni: Novak Djokovic e Petra Kvitova sono riusciti ad ingraziarsi ogni filo d’erba con un gioco solido e spettacolare aggiudicandosi fama e rispetto.

Custodi, ad essere onesti, nemmeno troppo esperti che per quanto dotati restano giovani campioni che si candidano ad amministrare questo importante giardino in futuro, pronti a confrontarsi nuovamente con contendenti molto attrezzati, di fronte ai quali le loro incredibili affermazioni assumono caratteri irrisori.

Roger Federer 6 volte vincitore del torneo, oggi numero 3 delle classifiche mondiali è nonostante tutto considerato il custode delle chiavi (7 finali su 13 apparizioni) di quel giardino. Del suo tennis e delle sue vittorie si parla da anni, non esiste record che non abbia battuto o non possa battere, ma le sue parole congedandosi dal torneo non possono non colpire: Sono soddisfatto della mia prestazione. È difficile per me uscire dal torneo in quel modo, ma purtroppo a volte succede. Almeno per battermi ci è voluta una performance speciale, e questo è straordinariamente bello!”.

Un Re senza corona, ma che mai avrebbe rinunciato al suo giardino è una notizia di questi tempi; la massima è confermata: l'erba voglio cresce solo nel giardino del re...

Cortocircuito

Alla fine dunque ci siamo. Assisto impotente ad un appiattimento culturale per me inverosimile. I fatti di Genova me lo mostrano crudamen...