venerdì 27 maggio 2011

Venditore Porta a Porta

Bill Porter è oggi un anziano e felice pensionato americano. Affetto da paralisi celebrale dalla nascita, la sua è una tipica storia di riscatto Americano. A metà degli anni 90 il suo nome si è imposto al grande pubblico come uno dei venditori porta a porta di maggior successo della Watkins Company (importante agenzia di vendita degli anni 70-80).

Su di lui sono stati pubblicati svariati articoli, libri ed hanno pure girato un discreto film. In questa pellicola, che riflette sull’inclusione sociale e il significato del lavoro vi è un passaggio in cui il protagonista si rende conto di essere divenuto improvvisamente anziano: il suo lavoro e la sua azienda vanno trasformandosi, tanto che lo invitano ad abbandonare il suo percorso porta a porta di sette miglia nella periferia di Portland, per un più confortevole ufficio attraverso cui continuare a perpetrare con successo le sue attività commerciali.

Bill Porter rifiuta e sceglie la pensione. Una scelta sofferta, ma che riflette l’atteggiamento di un uomo cocciuto ben conscio di come le proprie abilità esistano soprattutto grazie alla comprensione dei propri limiti. E’ quel grande spirito di osservazione che lo aveva accompagnato al riscatto ad aiutarlo a percepire le trasformazioni sociali, un mondo che ragiona secondo idee e principi differenti rispetto a quelli che aveva domato anche nel suo lavoro; valori impalpabili, quasi inafferrabili, a tratti incomprensibili, ma non per questo deprecabili.

Poi, l’altro giorno ho visto un altro vecchio venditore (a) Porta a Porta che purtroppo non conosce Bill Porter e la sua storia. Determinato, sicuro, sfacciato, con quella straordinaria capacità di leggere gli eventi e piegarli a suo vantaggio rispondeva acutamente alle domande di potenziali acquirenti. Poi compiaciuto di se stesso ha iniziato a sventolare un coloratissimo depliant da supermarket intitolato “I 100 successi di Milano” e si è giustificato: “Abbiamo contro un blocco pubblicitario terrificante”. La televendita continuava fino a quando il venditore ha sbottato: “ io non credo davvero potranno (…) andare a comprare lasciando a casa il cervello”.

Sicuramente nessun cervello resterà a casa, ma non sono così certo che tutti quanti si ricorderanno di quel depliant.

martedì 17 maggio 2011

“Non è colpa mia”

Prendersi gioco delle proprie responsabilità è una moda di questi tempi, anzi una vera e propria corrente artistica che si esprime in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale.

Dominique Strauss-Kahn e Letizia Moratti non sono che gli ultimi illustri esponenti di questa corrente, e se ci si pensa bene per motivi nemmeno così tanto diversi l’uno dall’altra.
Il primo pare abbia avuto la geniale idea di aggredire nudo una cameriera, la seconda sembra sia riuscita ad assalire i propri elettori di dubbi: in entrambi i casi le vittime sono fuggite alla ricerca di un briciolo di legittimità che fortunatamente hanno trovato nelle istituzioni.

Così ambedue i nostri “artisti” si sono chiusi (o sono stati chiusi) in un isolamento forzato, presumibilmente alla ricerca di una soluzione o visione per sfuggire alla realtà: basta un’idea, un cavillo, un piccolo pertugio attraverso cui scivolare per riaccendersi come fari lampeggianti nel mare in tempesta che da sempre sviluppa la loro arte.

Ma, minata la loro credibilità, arriva il tempo del complotto: Letizia (o chi per lei) resisterà a far riecheggiare la parola brogli o inganni? E al libertino socialista francese basterà urlare all’ordito intrigo internazionale? Si sa, spesso agli artisti della politica sono tese trappole di vario tipo, ma solitamente (quali abili artisti) saltano o si scostano abbastanza da non cascarci dentro.

Ancora non abbiamo capito se si tratta di isteria o genialità, di certo l’Eliseo e Palazzo Marino sembreranno lontanissimi, vaghe speranze offuscate da troppa superbia, rabbia e stupore. Si impone così l’ennesima opera che non fatica ad essere annoverata tra i più importanti esempi di Surrealismo. Il titolo? “Non è colpa mia…”

venerdì 13 maggio 2011

Pancia Piena

Ho sempre pensato che la magia fosse un’illusione per bambini buona per passare qualche momento in spensieratezza, ipnotizzati dai movimenti delle mani di qualche bravo illusionista. Mai avrei pensato di dovermi ricredere o quantomeno di ridiscutere questa mia convinzione. Perché? Bene, credo che alchimisti e stregoni siano ancora tra noi ed esercitino il proprio potere con inesauribile determinazione e creatività.

Tranquilli, non è l’ennesima predizione della fine del mondo (almeno credo!), ma prima che mi prendiate per pazzo voglio precisare che non mi riferisco a quei presunti asceti che costruiscono predizioni scrutando i fondi del caffè o i tarocchi, magari infilzando alcuni spilli su di una bambolina intrisa di qualche reliquia trafugata o ereditata da un presunto lontano parente, ma ad un’attività che entra quotidianamente nelle nostre vite: la cucina.

Tagliare, affettare, impastare, sfiammare, grattugiare, unire, evaporare, spolverare, con tempi, tecniche e strumenti sempre diversi nei modi più strani e a volte stravaganti allo scopo di colpire favorevolmente il nostro gusto.

Non c’è nulla di rigorosamente scientifico in cucina, piuttosto un’ipotetica tecnica (che può anche servirsi di gesti, atti e formule verbali o di rituali appropriati) o dissennata arte (anche oscura) di mischiare gli elementi allo scopo di influenzare gli eventi, di dominare e domare la nostra volontà come un alchimista alla ricerca della formula della pietra filosofale.

D’ora in avanti quando sentirò parlare di caccia alle streghe vedrò di preoccuparmi: non sia mai che vengano a prendersi chi ogni giorno farcisce e farcirà il mio piatto contribuendo alla “magica” pace interiore di una pancia piena.

martedì 3 maggio 2011

Vendetta

“Abbiamo preso il bastardo!”, “Brucia all’inferno!”, “Dalla sua morte un mondo migliore!”, “Che serva di monito a chi si mette contro gli Stati Uniti e i suoi alleati”. In attesa di un video o di una foto in tutto il mondo si consumano titoli di quotidiani e riviste davvero rabbiosi: mai come in questi giorni ho assistito a una serie così vile e crudele di commenti. Tutte le maggiori forze democratiche (nazionali e ed internazionali) si sono abbandonate alla giustificazione della più inumana repressione: un omicidio volontario.

Improvvisamente le stesse forze che supportano la dignità democratica delle rivolte dei gelsomini soffiando sulle trasformazioni che stanno attraversando il mondo arabo si sono trasfigurate nei più duri e cinici estremismi che quotidianamente condannano.

Dico questo anche perché non ricordo nella mia vita una manifestazione così generalizzata di compiacimento nella crudeltà. Certo, la morte di Osama Bin Laden rappresenta il raggiungimento di un obiettivo con cui erano state plasmate e cresciute le menti americane nell’ultimo decennio, ma ciò nonostante il giubilo generalizzato lo trovo straordinariamente stridente.

Libertà, Giustizia, Democrazia, mai come in questa situazione sono state sacrificate in cambio di un paio di proiettili ficcati da chissà chi nel cervello di un uomo. Un pluriomicida con progetti terrificanti, incomprensibili, un uomo che aveva scelto di odiare, ma pur sempre un uomo, che nonostante tutto avrebbe comunque dovuto misurarsi con la straordinaria forza su cui si reggono i regimi democratici. Certo, non sarebbe stato facile gestire la sua cattura, detenzione e processo, ma in nome dei principi democratici che ognuno di noi onora e rispetta nella propria esistenza, credo si sarebbe dovuta seguire questa strada.

Questa convinzione è evidentemente sbagliata, perché si è preferita la massima: “ognuno è il frutto di ciò che gli è stato fatto. Il principio fondamentale dell'universo: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Ha vinto la primitiva, odiosa, ma mai fuori moda legge del taglione. Inutile cercare di spiegare o capire. Vendetta.

Intanto compiacendoci calpestiamo la nostra dignità.

Cortocircuito

Alla fine dunque ci siamo. Assisto impotente ad un appiattimento culturale per me inverosimile. I fatti di Genova me lo mostrano crudamen...